Il pentito Spatuzza: "Stragi continentali servivano per l'accordo di Cosa Nostra con Berlusconi e Dell'Utri"

spatuzzagaspare600di Angela Panzera - "I calabresi si sono mossi, noi di Cosa nostra non potevamo fare di meno. Questo mi disse Graviano. Gli dovevamo dare il colpo di grazia. E progettammo l'attentato allo stadio Olimpico di Roma". Lo ha affermato questa mattina il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza che viene interrogato nell'ambito del processo 'ndrangheta stragista.

Alla sbarra ci sono Giuseppe Graviano, boss del mandamento palermitano di Brancaccio e Rocco Filippone, di 77 anni, di Melicucco, indicato dagli inquirenti come colui che, per conto della potente cosca Piromalli di Gioia Tauro, teneva i rapporti con la destra eversiva e la massoneria occulta.

I due sono ritenuti dal procuratore aggiunto reggino Giuseppe Lombardo, titolare dell'inchiesta, i mandanti degli agguati in cui morirono i carabinieri Antonio Fava e Giuseppe Garofalo e dei tentati omicidi dei carabinieri Vincenzo Pasqua, Silvio Ricciardo, Bartolomeo Musicò e Salvatore Serra, eseguiti da due giovanissimi killer della cosca di 'ndrangheta dei Lo Giudice, Giuseppe Calabrò e Consolato Villani.

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Atti da inserire, secondo la Dda reggina, nella strategia stragista messa in atto da Cosa nostra tra il 1993 ed il 1994 con gli attentati a Firenze, Roma e Milano. Questa mattina il procuratore aggiunto della Dda reggina, Giuseppe Lombardo sta interrogando il super "pentito" siciliano.

Spatuzza, alias "u Tignusu" (il Pelato) era affiliato alla Famiglia di Brancaccio, guidata proprio dai fratelli Filippo e Giuseppe Graviano.

"Ero il braccio armato della famiglia, ha riferito Spatuzza. Fummo incaricati da Giuseppe Graviano di individuare nella città di Roma un obiettivo che ci consentisse di uccidere molti carabinieri. Io e Cosimo Lo Nigro iniziammo subito a preparare l'esplosivo. Ricorremmo al materiale esplodente che ci rifornirono i pescatori che reperivano con la pesca a strascico vecchi ordigni bellici, mentre come detonatori ci rifornimmo di un salsicciotto di gelatina e di un altro detonatore confezionato con un involucro di strisce rosse. Di seguito trasportammo il materiale esplodente a Roma ed iniziammo i sopralluoghi per individuare il luogo dove piazzare l'ordigno. Graviano ci aveva detto che dovevamo fare alla svelta ma che prima di muoverci dovevamo parlare con lui direttamente. Dopo che individuammo lo stadio olimpico quale luogo ideale per fare la strage vi fu l'incontro nel Donay bar in via Veneto a Roma tra me e Giuseppe Graviano. Da lì ci muovemmo per andare in un villino a Torvaianica dove c'era il gruppo di fuoco. Nel corso di questo incontro Giuseppe Graviamo mi disse che avevamo ottenuto quello che volevamo, riferendosi all'accordo con dei nuovi referenti politici da individuarsi nel nostro compaesano Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi. Io a proposito di Berlusconi chiesi se era quello della televisione e lui mi disse di sì. Mi riferì che ne avremmo avuto dei benefici a partire dai carcerati. Avremmo avuto il paese nelle mani.
Graviano quindi mi disse che dovevamo fare questo attentato a Roma perché i calabresi si erano già mossi. Io collegai questa frase all'omicidio avvenuto un paio di giorni prima dei due Carabinieri in Calabria. Con la Calabria cosa nostra ha avuto sempre un rapporto privilegiato.
Arrivó quindi l'ok per l'attentato all'Olimpico dove dovevamo uccidere tanti Carabinieri almeno cento. Andammo in una collina nei pressi di Roma dove vedevamo lo stadio è lì abbiamo premuto il comando per far partire l'esplosivo ma qualcosa si blocco. Non partiva questo esplosivo. E allora l'attentato saltó".

"Il giorno dell'attentato programmato all'Olimpico, ha concluso Spatuzza, era proprio il 22 gennaio, e la targa da collocare sull'auto bomba venne rubata come di consueto il giorno prima del programmato attentato, ovvero il 21 gennaio 1994".