L’Umbria “dà i numeri”. E in Calabria, le nozze Pd-M5S sembrano molto più difficili…

Tesei Donatella 1di Mario Meliadò-Sottovalutare l'esito delle Regionali in Umbria sarebbe un errore per varie ragioni, in ogni angolo del Paese. Vediamone qualcuna insieme, anche con l'ausilio di qualche "numero-guida".

50. Da cinquanta (50) anni, la Regione Umbria era un territorio "rosso", senza sconti, senza soluzione di continuità. Oggi, col trionfo di Donatella Tesei, per la prima volta non è più così; e questo dato già di per sé deve far riflettere l'opinione pubblica e gli addetti ai lavori, primi fra tutti gli uomini politici che hanno prodotto questo risultato. Per esempio, proprio quel Nicola Zingaretti segretario nazionale di un Partito democratico nuovamente "virato a Sinistra", fattore che però evidentemente non è bastato a reiterare un copione favorevole che, sul palco umbro, andava in replica da mezzo secolo senza interruzioni.

57. Il 31 maggio del 2015, quando cioè era stata eletta Governatrice Catiuscia Marini, il centrosinistra aveva sfiorato il 43% e il Pd, da solo, aveva centrato un rispettabilissimo 35,7 per cento. Cinquestelle s'era posizionato al 14,5.Nel centrodestra, la Lega era arrivata al 14 e Forza Italia s'era attestata all'8,5. E quattro anni dopo?

Perugia & Terni ci dicono che il centrodestra ha centrato un ottimo 57,5% di coalizione,veicolato dallo strepitoso 37% della Lega di Matteo Salvini: ormai anche il CentroItalia, e non solo il Nord, si certifica ammaliato dall'offerta politica del Carroccio nella versione ammannita dall'ex ministro dell'Interno. Ma un altro risultato è una cartina di tornasole: ormai scontata la leadership leghista di coalizione, le altre due maggiori forze politiche di centrodestra vedono Fratelli d'Italia "doppiare" nettamente Forza Italia, col 10,4% contro il 5,5% (il resto lo fanno le due "civiche" pro-Tesei). A questo punto non si può neanche parlare di carisma o non carisma di Giorgia Meloni (che comunque finisce per battere anche i "grillini" e trasforma Fdi nel terzo partito in Umbria), ma di crollo apparentemente irrecuperabile della credibilità personale e politica di Silvio Berlusconi, in precedenza magari in difficoltà in situazioni di sconfitta epperò "mattatore" quando si vinceva.

Quanto ai rivali, in qualche misura il Pd "tiene" (22,3%), collocandosi però a livelli di consenso che, se confermati in ulteriori occasioni elettorali, decreterebbero il definitivo decesso della sua famigerata "vocazione maggioritaria"; il risultato in quanto tale però tutto sommato non è da buttare, alla luce delle indicazioni di voto della vigilia che vedevano il partito ben sotto il 20% e soprattutto di com'era finita la consiliatura precedente, con Regionali anticipate a séguito delle dimissioni della presidente Marini, travolta dalla "Sanitòpoli" umbra per cui è indagata per falso, abuso d'ufficio e rivelazione di segreto e nella quale, il 12 aprile scorso, erano state arrestate 4 persone tra le quali il segretario umbro del Pd Gianpiero Bocci e Luca Barberini, assessore alla Sanità della stessa giunta Marini.

Il M5S dimezza i suoi consensi (7,4%) pagando duramente la scelta di riproporre in chiave territoriale l'intesa col Pd. I due soggetti ecologisti propostisi nel centrosinistra, malgrado l' "effetto Greta", non vanno oltre il 3% cumulativo, peraltro inferiore al buon 4% della civica del candidato alla Presidenza del centrosinistra Vincenzo Bianconi; e anche questo, in un territorio evoluto come umbro, è decisamente un segnale. Dopodiché, si può forse discutere anche della scelta caduta sul presidente di Federalberghi Umbria: mega-imprenditore della ricettività, orgogliosamente di Norcia, Bianconi aveva il curriculum del "perfetto candidato civico". Com'è finita, s'è visto; forse anche per la (fondata?) fama di sostenitore del centrodestra che accompagnava da anni l'imprenditore. Ma certo

Briciole per gli altri: giusto la minicoalizione a supporto di Claudio Ricci si piazza al 2,6%, gettando un cono d'ombra sull'ex sindaco di Assisi, che nel 2015 da candidato Governatore indipendente per il centrodestra aveva conquistato il 39,2% dei suffragi, tra l'altro andando oltre il 38,5% generato dalle liste a suo sostegno. Il Partito comunista "scongelato" da Marco Rizzo gravita intorno all'1% che, peraltro, fa risaltare ancor di più il tristissimo 0,3% di Potere al popolo, quella che doveva essere la formazione politica in grado di ridare smalto alla Sinistra radicale e, fin qui, è più che altro riuscita a far trionfare un incomprensibile atomismo divisivo. Tonfo micidiale per il generale Antonio Pappalardo: alla prima prova elettorale degna di questo nome, i suoi Gilet Arancioni racimolano uno 0,1% angosciante per ogni start-up politica. Meglio glissare anche sulla prova della neosovranista Martina Carletti per "Riconquistare l'Italia" (espressione umbra del Fronte sovranista italiano).

13. Il 13% d'affluenza in più non è un dato da poco. Le Regionali umbre sono utili anche per una ragione assai pratica, solitamente accantonata a ogni tornata elettorale per via della naturale frenesia di conoscere e soppesare i risultati: la partecipazione democratica può essere riattivata, ravvivata. Non è un film. Ci sono meccanismi realmente in grado di far uscire gli elettori italiani da un torpore di medio-lungo periodo e farli tornare alle urne, lasciando a casa la disaffezione verso i partiti tradizionali così come lo scorno provocato dai soggetti politici che, spesso maldestramente, hanno tentato di rimpiazzarli.

Nel 2015, su 705mila elettori i votanti erano stati 391mila (55,4% del corpo elettorale, dunque); a queste Regionali gli aventi diritto che si sono recati ai seggi elettorali sono stati il 64,7 per cento.

2. Dopo Catiuscia, Donatella. Anche in questo, di certo, l'Umbria è una Regione cui rivolgere un'attenzione peculiare: un certo malcelato maschilismo non attecchisce più di tanto, i partiti di riferimento non si son fatti problemi a candidare una donna, e nello specifico l'ex sindaco di Montefalco e senatrice ternana, alla Presidenza della Regione.

E soprattutto – va detto chiaro chiaro, con tanti saluti a una "par condicio" spesso paradossale e imbalsamatrice – a candidare una donna nei turni in cui nitidi sondaggi demoscopici tributavano ora all'una, ora all'altra coalizionei favori del pronostico. Questo, questo è un dato politicamente rilevantissimo: perché in parecchie altre Regioni le candidature "rosa" non sono mancate, già, ma prevalentemente quando già "si sapeva", intenzioni di voto alla mano, che quasi con certezza non avrebbe ottenuto il mandato elettivo per il quale correva.

2%. La caduta di stile del bipresidente del Consiglio Giuseppe Conte nell'analisi del voto in Umbria è terribile da tanti punti di vista. Tanti.

Partiamo dai fatti: cos'è che ha detto, il premier? «Sarebbe un errore interrompere quest'esperimento di Governo per via di una Regione che ha il 2% della popolazione nazionale». E poi, una "frecciatina" al suo ex vice Matteo Salvini, che ha "battuto" l'Umbria in lungo e in largo per settimane: «Se avessi voluto fare campagna elettorale, avrei girato 'porta a porta' per un mese, 24 ore al giorno...». Ecco, lo snobismo in riferimento a un territorio regionale abitato "solo" dal 2% degli italiani fa cadere il latte alle ginocchia: gli italiani, tutti, meritano molto più rispetto di così. Lo merita ciascuno di loro come individuo titolare di precisissimi diritti, e non in quanto elettore o, se preferite, carne da macello, cervello da portare all'ammasso. Non è vero, in definitiva, che un piccolo centro appenninico da 2mila abitanti debba avere meno attenzioni e godere di servizi-standard inferiori rispetto a un altro essere umano per il solo fatto che quest'ultimo viva invece in una metropoli da 3 milioni di residenti.

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Ancòra, è increscioso che un inquilino di Palazzo Chigi possa operare un'analisi politicamente così povera d'argomenti, così desolante. «I voti non si contano, ma si pesano» amava ripetere già oltre mezzo secolo fa "il Migliore", alias il leader del Pci Palmiro Togliatti. Ecco che le contingenze politiche possono rendere quasi irrilevante la sconfitta simultanea su più scenari (ad esempio, quando i numeri in Parlamento "blindano" inesorabilmente una determinata maggioranza) e, di converso, trasformare in epitaffio un risultato negativo isolato, foss'anche di misura (e non è andata così) e in un territorio tra quelli canonicamente non ricchi d'incidenza sui destini politici del Paese come Lombardia, Lazio, Emilia-Romagna, Sicilia e pochi altri.

2020. L'anno prossimo ormai alle porte sarà il tempo di altre importanti "corse" elettorali; pure in Calabria (Regionali, Comunali di Reggio Calabria). Ecco che il fronte "giallorosso" s'interroga: davvero faremo di nuovo come in Umbria?

Il sottobosco piddino, scissione renziana a parte, già aveva fatto trapelare i mille e mille dubbi sulla congruità di riproporre sui territori un'intesa che già mostra parecchi bug in chiave nazionale. Ma proprio in queste ore più tranchant si è mostrato il Movimento Cinquestelle. Basti leggere il post pubblicato sul "Blog delle Stelle", che rifletterebbe pedissequamente il pensiero del ministro degli Esteri in carica e capo politico pentastellatoLuigi Di Maio:«Il patto civico per l'Umbria lo abbiamo sempre considerato un laboratorio, ma l'esperimento non ha funzionato». Mentre d'altronde «quest'esperienza testimonia che potremo davvero rappresentare la terza via solo guardando oltre i due poli contrapposti»; non, insomma, schierandosi "con" il Pd. Al quale, semmai, vengono imputati riverberi negativi per le performances elettorali del M5S: «Stare al Governo con un'altra forza politica – è un'altra "chicca" esposta sul "Blog delle Stelle" – sacrifica il consenso del Movimento».

Ce n'è abbastanza per far pensare che, Mario Oliverio o meno e al di là delle dure parole spese in proposito da Nicola Morra, la strada di Pd e Cinquestelle in vista delle Regionali calabresi ben difficilmente vedrà le due forze politiche nello stesso schieramento. Solo che, in atto almeno, affrontare separatamente questa prova elettorale sa di un fine-vita annunciato...