Sei nata che volevo un maschio

fiocco-nascita-rosa-lino-e-matelassèdi Nino Mallamaci* - Sei nata che volevo un maschio. Era un rischio, per me, una bambina.

Non sapevo cosa fare. Con una bambino avrei potuto giocare a

pallone, e quando si sarebbe fatto più grande avrei fatto i soliti discorsi sulle femmine: ti piace la tua compagna, la tua amica. Cose così. Cose da nulla. Ma cose per le quali mi sentivo più preparato, forse sbagliando.

Ho imparato in fretta: non serviva invece che amore, l'unico strumento da utilizzare. E l'amore per te, piccola e magra dietro il vetro, è esploso appena ti ho vista, insieme alla consapevolezza della responsabilità, che mi angustiava, che mi rendeva improvvisamente adulto.

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Non ricordo quando ti ho presa in braccio per la prima volta. Sarà stato il giorno stesso che sei venuta al mondo, o quello successivo. Ciò che ricordo invece perfettamente è il tumulto della mia anima in quei giorni. Come ricordo la ninna nanna scritta per te di notte, in albergo. Una traduzione in melodia e parole delle emozioni che mi travolgevano, una sensazione simile a quella provata quando mi gettavo a peso morto tra i cavalloni di settembre, lasciandomi trascinare avanti e indietro sul bagnasciuga. La testa sotto l'acqua, e poi fuori, e poi ancora sotto, senza riuscire a governare i miei movimenti. Così, nei tuoi primi giorni, ero un fuscello in preda ai marosi della vita, che era diventata importante con il tuo arrivo. La mia vita, il mio mero esistere e stare al mondo, aveva un significato e un senso come mai prima. Abbandonandomi alla vita nuova che era la nostra vita, sentivo l'ansia scemare fino a scomparire. Ma solo quando mi eri vicina. Bastava allontanarmi un po' per avvertire tutto il peso del compito che mi ero assunto. Per cominciare, ancora e ancora, a pormi domande, le più difficili, quelle più complicate. Sarò in grado di darle serenità, gioia, felicità addirittura?

Ora che sei grande. Ora che ti accingi ad attraversare il valico dell'età adulta, non so se ho fatto bene o male, se sono riuscito a darti ciò che ti serviva. So di aver fatto il possibile, questo sì. Di aver messo nel corredo che ti ho consegnato i miei pregi e i miei difetti, sperando che tu, di questi ultimi, abbia fatto una buona cernita. Spero comunque che ti siano utili, gli uni e gli altri, nell'affrontare il tuo cammino. Che non deve essere quello cui io pensavo, o al quale aspiravo per la mia unica figlia. No. I figli non sono proprietà dei padri o delle madri. Non sono la proiezione nel futuro dei loro desideri e delle loro aspettative. Il mestiere del padre consiste nel costruire persone libere e consapevoli, autonome, con una coscienza critica e dei valori. Spetta ai figli, poi, il decidere il come, il quando, il perché, della loro vita. Sapendo di poter sempre contare su chi li ha generati, e generandoli si è obbligato ad averne cura, ad accompagnarli con sguardo vigile ma discreto, da lontano. Ora, figlia mia, ora che stai imboccando il sentiero, sappi quindi che lì, in fondo alla valle, sarai sola a procedere. Ma sappi che se avrai bisogno di una mano, o, più semplicemente, se vorrai cercare un occhio benevolo che vigila su di te, basterà alzare lo sguardo, verso le colline. E lì scorgerai tuo padre.

*Avvocato e scrittore