Un universo chiamato uomo. Da Emiliuccia a Salvini

SalviniMatteo24maggiodi Nino Mallamaci* - Quante emozioni possono investire un essere umano, nello spazio di poche ore? Grandi, piccole, di gioia, di dolore, di semplice contrarietà, di rabbia, di schifo, di sgomento. E come reagisce a tutto ciò chi, come me, avverte irresistibile la voglia di tirare fuori dal cuore e dalla mente questo viluppo inestricabile che ti trascina come un fuscello nelle rapide di un fiume in piena? Scrivendo. In versi, in prosa. Tutto va bene pur di fare defluire questa urgenza che tracima nel foglio bianco e lo riempie sì di parole, se si rimane in superficie, ma soprattutto di sentimenti sensazioni percezioni turbamenti. Uno sfogo, una confessione. Una liberazione, ecco. Forse questo è il termine più adatto. Senza badare più di tanto alla forma, all'ordine, così come viene, di getto, senza mediazioni.

Stanotte, quando ero appena andato a letto, mi arrivano le foto di un esserino minuscolo, passato dal comodo ricovero dove stava, al mondo, e con gli occhi aperti. E' nata Emiliuccia, mi scrive mia sorella Emilia, da quel momento nonna. E mi viene da piangere per la gioia, mentre penso a mia figlia che mi diceva, giusto ieri: papà, fino ad ora c'erano zia Emilia ed Emiliuccia, che ero io. Adesso avremo una Emiliuccia nuova, e io? Beh, le ho risposto, tu sarai Emiliuccia di Nino, e poi avremo pure Emiliuccia di Carmen. Problema risolto. Emiliuccia di Carmen nata con gli occhi aperti a scrutare il suo nuovo habitat, nata per rendere felici e confusi mamma e papà Ciccio, nonna e nonno Memè, zia Cicci. Nata con gli occhi aperti, forse con la frenesia del fare ereditata dalla mamma e dal nonno. Emilia Roccia. E ripeto il cognome sperando nel "nomen omen", una roccia capace di resistere alle intemperie della vita, di attraversarle con la forza e la determinazione necessarie.

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Ma mi distraggo, fatalmente. Non c'è modo di lasciare fuori dai miei pensieri la bambina annegata nel Rio Grande abbracciata al papà, il piccolo Alan Kurdi a faccia in giù sulla spiaggia di Bodrum, in Turchia, il bambino dal cognome inventato perché quello vero nessuno lo conosceva. E nelle stesse ore in cui la nuova Emiliuccia viene alla luce con gli occhi sgranati su questo mondo, in una comoda e accogliente stanzetta di ospedale, in un altro luogo non tanto lontano di quello stesso mondo decine di disperati aspettano che la crudeltà fattasi uomo e governo dia loro il lasciapassare per sbarcare nella terra promessa. Altre mamme, altri bimbi, e altre mamme con altri bimbi in grembo, invece, stanno al largo in attesa, dondolando su un mare calmo all'apparenza, ma increspato e reso feroce e nemico dall'angoscia, dalla costernazione. Dal dubbio, che diviene consapevolezza col trascorrere delle ore e dei giorni, che la tua mano tesa, in cerca di sostegno e di conforto, incontra indifferenza o, addirittura, odio freddo, odio di pietra come i cuori di coloro che hanno dimenticato la solidarietà, l'umanità. Coloro che, chiusi nel loro egoismo, nella meschinità più becera, fanno spallucce davanti alla sofferenza e alla morte.

E allora, davanti a tutto questo, in un primo momento di sconforto mi viene in mente che Emiliuccia farebbe bene a tenerli serrati, i suoi occhi, il più a lungo possibile. Per non assistere allo spettacolo della disumanità, per non uscire dalla sua beata condizione d'incoscienza. O forse c'è dell'altro. Sì, che c'è dell'altro, ci deve essere. Quegli occhi spalancati sono un segno, un monito a chi troppo spesso guarda e non vede. Bisogna guardare, ascoltare, parlare, combattere e lottare. Per me, che vengo ora al mondo e lo voglio più bello, più colorato e più felice. E per tutti voi che nonostante tutto ci credete ancora, e avete il dovere di aiutarmi a realizzare questo sogno. Fatto ad occhi aperti, all'alba della vita.

*Avvocato e scrittore