Faida di ‘ndrangheta nel Torinese, il pentito Rocco Marando: “Mi diedero 100 mila euro per smettere di collaborare con la giustizia”

"Mio fratello mi aveva dato 100 mila euro perche' smettessi di collaborare con la giustizia. Ma la famiglia ha continuato a respingermi come un infame". E' per questo motivo, secondo quanto e' stato spiegato oggi al Palazzo di Giustizia di Torino, che il pentito Rocco Marando ha motivato il suo comportamento nel processo d'appello bis per uno dei piu' gravi episodi di 'Ndrangheta avvenuti nel Nord Ovest: la faida tra clan rivali che tra il 1997 e il 1998, nel Torinese, costo' la vita a quattro persone. All'udienza del 24 maggio Marando aveva ritrattato le accuse. Oggi era in programma la requisitoria della pubblica accusa, ma il procuratore generale Francesco Saluzzo, con una mossa a sorpresa, ha prodotto in aula il verbale e la registrazione di un interrogatorio cui Marando e' stato sottoposto il 9 ottobre scorso.

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Alcune settimane fa l'uomo ha contattato la polizia giudiziaria e ha annunciato che voleva tornare sui suoi passi confermando le sue dichiarazioni accusatorie. "Tutti parlano di quella vicenda - avrebbe detto - ma io so come sono andate le cose. Perche' io le ho viste". Al vaglio dei giudici c'e' l'agguato teso il primo giugno 1997 ad Antonio e Antonino Stefanelli e al loro autista Francesco Mancuso (i corpi non furono mai ritrovati) e quello successivo, del 30 gennaio 1998, a Roberto Romeo. Gli imputati sono cinque. "Tutto questo e' quanto meno sorprendente" ha commentato uno dei difensori, l'avvocato Mauro Anetrini.